Due Occhi Azzurri, Thomas Hardy
Grandi Classici della Domenica
Due occhi azzurri, Thomas Hardy
Nel novembre del 2013, presi una decisione un po' spericolata, forse persino azzardata, e mi aggregai di punto in bianco a un gruppo di quattro miei amici che avevano deciso di lanciarsi in un'avventura alla ricerca di "qualcosa" in Australia. La nostra prima tappa, quella che diventò la base d’esplorazione, fu Melbourne. Da lì in poi, non passarono molti mesi che le strade si divisero: c’era chi dopo un po’ decise di tornare in Europa, chi scelse di piantare radici in quella terra lontana, e chi, come me, sentì il richiamo dell’esplorazione. E così, con un altro compagno, mi misi in viaggio per scoprire questo continente tanto diverso dall’Italia.
Spesso, però, preferivo perdermi in solitaria, vagabondando per le vie delle città senza una meta precisa. Fu durante uno di questi pomeriggi, mentre esploravo vicoli
e stradine di Melbourne, che mi ritrovai davanti alla vetrina di una libreria antica, di quelle che sembrano uscire da un romanzo. Le sue mensole erano piene di opere datate, alcune di grande valore. E lì, tra quei volumi polverosi, i miei occhi si posarono su "Due occhi azzurri" di Thomas Hardy. Conoscevo l'autore, ma questo titolo mi era sfuggito fino a quel momento. Non ci pensai due volte: lo acquistai con gli occhi che brillavano come quelli di qualcuno che ha appena trovato un piccolo tesoro.
Al centro della narrazione di "Due occhi azzurri" si colloca Elfride, una giovane donna la cui conoscenza dell'amore è limitata a quanto appreso dai libri. Questo aspetto la rende volubile, ingenua e, si potrebbe dire, piuttosto immatura. Elfride non incarna certo l'archetipo dell'eroina classica: sebbene possieda una certa dose di caparbietà, è frequentemente sopraffatta dagli eventi e dall’amore stesso. In questo senso, il suo ruolo all'interno della storia assume connotati più vicini a quello di una vittima, piuttosto che a quello di una protagonista attiva e risoluta, come possono essere quelle di altri romanzi.
Pur essendo considerato un’opera minore rispetto ai romanzi successivi e più maturi di Thomas Hardy, come Via dalla pazza follaIl sindaco di Casterbridgei, "Due occhi azzurri" mantiene una struttura narrativa scorrevole e una piacevolezza di lettura indiscutibile. Tuttavia, è fondamentale affrontare il testo con un costante impegno di contestualizzazione rispetto agli usi, ai costumi e ai valori predominanti dell'età vittoriana. Senza tale operazione interpretativa, alcuni passaggi potrebbero apparire anacronistici e suscitare una reazione di incredulità o addirittura di ironia nei lettori contemporanei, che sono distanti dalle norme e dalle sensibilità del periodo in cui l’opera fu concepita.
Nel melodramma che si sviluppa attorno al triangolo amoroso tra il giovane architetto Stephen, il suo mentore e critico letterario più anziano, Henry Knight, e la giovane protagonista Elfride, Hardy guida il lettore attraverso una riflessione sui temi dell’amore giovanile, della classe sociale e della natura della devozione e del matrimonio. Questo intreccio amoroso funge da veicolo per esplorare non solo le dinamiche sentimentali dei personaggi, ma anche le tensioni sociali e culturali dell’epoca vittoriana.
I romanzieri vittoriani, tra cui Charles Dickens, si distanziarono progressivamente dalla prosa sentimentale che aveva caratterizzato i primi decenni del XIX secolo, esemplificata dai romanzi di Jane Austen. Al contrario, abbracciarono il realismo, contribuendo così alla trasformazione del genere romanzesco. *Due occhi azzurri* di Hardy è chiaramente un riflesso di questa transizione: l’opera segna un allontanamento dal sentimentalismo per esplorare con maggiore concretezza e complessità i rapporti umani, le disparità sociali e i dilemmi morali, che sono tratti distintivi del realismo vittoriano.
Anche in questo suo primo romanzo, la prosa poetica di Thomas Hardy rimane saldamente ancorata al realismo, pur attraversando i territori del melodramma romantico. "Due occhi azzurri" non si limita a narrare una storia d'amore, ma sottopone a una sottile ironia le convenzioni sentimentali delle storie d'amore popolari del passato, suggerendo la supremazia del realismo sia nella forma che nella sostanza narrativa. Tuttavia, il romanzo non rinuncia a trasportare il lettore in scenari fortemente emotivi, tra chiese e cimiteri gotici, o lungo scogliere costiere cariche di pathos. Hardy utilizza questi ambienti per rovesciare i tropi romantici, riportando con abilità il lettore alla realtà attraverso momenti di improvvisa consapevolezza, spesso sconvolgenti.
Nel corso della storia, il lettore si confronta con la complessità degli ideali e delle realtà romantiche dell'epoca vittoriana. Elfride, infatti, si trova a inseguire un amore idealizzato, ma le sue scelte sono inevitabilmente influenzate da considerazioni più pragmatiche, come quelle economiche e matrimoniali, che riflettono le decisioni del padre. Sebbene il romanzo racconti una doppia storia d'amore — in cui l'eroina si innamora non una, ma due volte — Hardy evita qualsiasi deriva sentimentalista, negando il lieto fine tipico del romanticismo.
Piuttosto che risolvere in modo ordinato e lineare i legami sentimentali di Elfride, Hardy la costringe a confrontarsi con le conseguenze delle sue scelte: innanzitutto, l’amore per un uomo di condizione inferiore e, successivamente, l'inganno nei confronti del secondo amato, reso possibile da bugie e omissioni. In definitiva, la tragedia che si sviluppa nella vicenda è esemplare del realismo per cui Hardy diventerà celebre. L’amore romantico, suggerisce l’autore, può essere ricercato dai vittoriani, ma ciò non implica che essi si sposino per amore, così come la giovinezza non garantisce la longevità.
Come ci si potrebbe aspettare da un romanzo di Hardy, nessuno dei personaggi trova una strada semplice o priva di ostacoli. Elfride, pur non rispecchiando il tipo di personaggio con cui riesco a empatizzare, si rivela una protagonista di notevole interesse. La sua vita isolata e appartata la rende innocente e vulnerabile, quasi con tratti infantili. Hardy stesso la paragona a Miranda de "La Tempesta" di Shakespeare: entrambe le figure sono inesperte nei rapporti con gli uomini, e l'arrivo di un visitatore maschile rappresenta per loro un evento di grande rilevanza. Non a caso, Elfride gioca a scacchi sia con Stephen Smith che con Henry Knight, proprio come Miranda fece con Ferdinando nella commedia shakespeariana.
Un altro elemento di particolare interesse in *Due occhi azzurri* è il sottile richiamo autobiografico alla vita personale di Hardy, in particolare alla sua complessa relazione con la prima moglie, Emma Gifford. Il loro rapporto, caratterizzato da continui alti e bassi, riflette le tensioni e le ambiguità che emergono anche nella narrazione del romanzo. Questa relazione tormentata si concluse tragicamente con la morte prematura di Emma, un evento che, sebbene non venga esplicitamente tematizzato, sembra gettare una lunga ombra sulla struttura e sui temi del romanzo stesso.
Le descrizioni paesaggistiche in "Due occhi azzurri" sono di una bellezza straordinaria e così vivide che il lettore può facilmente immergersi nell'atmosfera di solitudine in cui vive Elfride. Le colline e il vento impetuoso che soffia sulle scogliere a picco sul mare in tempesta sono dipinti con tale intensità da rendere tangibile il mondo naturale che circonda i personaggi. Tuttavia, il luogo più simbolico e carico di significato è senza dubbio la cripta funeraria, oscura e opprimente, che funge da teatro per una lunga e cruciale scena del romanzo.
È forse proprio questa cripta a incarnare al meglio il profondo significato della narrazione di Hardy: con la sua volta di pietra che incombe minacciosa, diventa una potente metafora dell'oppressione della morale vittoriana, che grava sulla giovane protagonista dagli occhi azzurri. Questo "azzurro nebbioso e ombroso, privo di principio e di superficie, da scrutare in profondità e non semplicemente da osservare" racchiude non solo l'innocenza e la vulnerabilità di Elfride, ma anche il peso delle convenzioni sociali che la imprigionano.
Lo stile di Hardy riflette pienamente le sue scelte narrative, in particolare attraverso l’uso di un narratore onnisciente che elimina qualsiasi distanza tra il lettore e i personaggi, rendendo la storia immediata e coinvolgente. Inoltre, Hardy fa ampio uso di un espediente narrativo che interrompe bruscamente la narrazione con un colpo di scena, creando un senso di suspense che spinge il lettore a proseguire nella lettura, mantenendo alta la tensione emotiva e narrativa. O almeno, è ciò che è accaduto a me.
Quest’oggi sono andata un po’ lunga con la mia analisi, ma con un‘opera di questo calibro è difficile poter fare altrimenti. Vi lascio qualche foto del libro, anche se non rendono in foto la meraviglia di questa edizione.
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