Via dalla pazza folla, thomas hardy
I Grandi Classici della Domenica
Via dalla pazza folla, Thomas HardyBathsheba Everdene, analisi dell’evoluzione di un personaggio
Bathsheba Everdene, protagonista del celebre "Via dalla pazza folla" di Thomas Hardy, incarna un personaggio femminile complesso e stratificato, che si distingue fin dalle prime pagine del romanzo. Figlia orfana di cittadini e cresciuta dalla zia in campagna, Bathsheba dimostra fin da piccola una spiccata autosufficienza, abituata a svolgere da sola mansioni come la mungitura e la gestione delle provviste domestiche. Questa precoce indipendenza le infonde una profonda coscienza di sé, che tuttavia sconfina presto in una vanità eccessiva, legata alla consapevolezza del proprio fascino estetico. Il suo aspetto diviene quindi la sua più grande debolezza, condizionando molte delle sue prime decisioni e influenzando i rapporti con gli uomini che incontra.
In un’epoca vittoriana che imponeva rigide norme di comportamento per le donne, per me Bathsheba è al contempo una figura sia anticonformista che vulnerabile. L’episodio emblematico del primo capitolo, in cui si specchia e arrossisce, rivela un tratto civettuolo che emerge anche nel rapporto con Gabriel Oak: inizialmente, infatti, respinge il suo interesse romantico e mostra una scarsa sensibilità per i sentimenti altrui, come quando si rifiuta di ringraziarlo per aver pagato il pedaggio. La sua vanità sembra giungere all’apice con l’eredità della fattoria di famiglia, che le conferisce l’indipendenza economica tanto desiderata e rafforza in lei la convinzione di poter fare a meno del matrimonio, una scelta audace per una giovane donna dell’epoca. Tuttavia, mentre Bathsheba cerca di riportare la fattoria all’antico splendore, il suo orgoglio e la sua inesperienza la conducono spesso a scontri con i dipendenti e a un’autostima eccessiva che la rende sorda ai consigli. Anche i suoi legami sentimentali riflettono questa tensione tra il desiderio di indipendenza e il bisogno di appartenenza. L’incontro con il sergente Troy segna una svolta decisiva: sedotta dalle sue lusinghe, Bathsheba si lascia trascinare in una relazione disastrosa. La sua vanità le impedisce di vedere la pericolosità di Troy, e solo con il tempo inizia a riconoscere l’importanza di valutare con maggiore consapevolezza le conseguenze delle proprie scelte sugli altri. Questi suoi comportamenti la rendono un personaggio con cui è difficile empatizzare, e non mi sorprenderebbe se qualcuno la ritenesse addirittura antipatica. È facile pertanto cadere nel giudizio impulsivo di questa figura, ciò non ci rende di conseguenza simili a lei?
Ha segnato per me una svolta nel suo carattere il tormentato legame con Mr. Boldwood, che a mio parere rappresenta un altro momento cruciale: attraverso questa relazione, Bathsheba comprende progressivamente che l’indipendenza, pur preziosa, non è sempre sufficiente e che affidarsi agli altri può avere un valore altrettanto profondo. Il matrimonio con Troy, pur drammatico e sofferto, segna l’inizio della sua trasformazione: la scoperta del tradimento e l’abbandono da parte di Troy impattano in maniera notevole la sua sicurezza, portandola a maturare e a riconoscere i limiti del proprio orgoglio.
Infine, le sfide incontrate nella gestione della fattoria consolidano in lei una nuova consapevolezza: il potere e l’indipendenza femminile, in un’epoca che relegava le donne a ruoli subordinati, rappresentano un’impresa ardua e spesso incompresa. Bathsheba si trova così a bilanciare l’aspirazione a essere indipendente e autonoma con la necessità di trovare una propria collocazione in un mondo ancora ostile perchè, ammettiamolo, maschile e maschilista. Questa dualità tra forza e vulnerabilità la rende un personaggio affascinante, capace di evolvere e di imparare dai propri errori, trasformandosi in una figura eroica, moderna e straordinariamente umana. La sua intraprendenza sotto questo punto di vista unita alla sua determinazione mi hanno permesso di capirla meglio, suscitando in me anche ammirazione nei suoi confronti non tanto per qualsivoglia solidarietà femminile, ma più per la forza che ha dimostrato di possedere.
Come tutti i personaggi di Hardy infatti, Bathsheba Everdene non è mai dipinta come intrinsecamente malvagia né dotata di intenti malvagi. Al contrario, ella incarna una complessità morale che riflette i dilemmi e le sfumature dell’animo umano. Anche Troy, affascinante ma pericoloso, non è una figura puramente negativa; la sua apparente crudeltà deriva più dalla mancanza di una bussola morale che lo aiuti a distinguere il bene dal male. Questo relativismo morale, presente in entrambi i personaggi, diviene il motore della trama di Via dalla pazza folla, in cui la narrazione si sviluppa attraverso i conflitti di Bathsheba tra il dovere morale e i propri desideri.
Procedendo con l'osservazione della sua crescita e del suo sviluppo, nelle sue prime apparizioni, Bathsheba è caratterizzata da un temperamento impetuoso e selvaggio che, unito all’orgoglio e alla vanità, la porta a prendere decisioni avventate e costituisce un ulteriore punto di analisi. Questi tratti, però, si attenuano gradualmente nel corso della storia, man mano che la giovane lattaia si confronta con le responsabilità e le difficoltà della vita adulta. La sua evoluzione la porta a sviluppare una maggiore consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni, una maturazione che rappresenta uno degli aspetti centrali della sua crescita interiore.
Gli scatti di impulsività di Bathsheba si manifestano in episodi emblematici: il brusco licenziamento di Gabriel Oak, che si manifesta sempre dalla sua parte, ne è un esempio evidente. Questo gesto rivela la sua tendenza a reagire senza ponderare a fondo le implicazioni, una tendenza che con il tempo impara a contenere. Un altro episodio significativo è il suo tentativo mal calcolato di fuggire a Bath, un’impresa che dimostra sia la sua impulsività sia la mancanza di esperienza, poiché Bathsheba sottovaluta la distanza e il tempo necessario per arrivare a destinazione.
Attraverso questi episodi, Hardy dipinge un personaggio in bilico tra impulsi e riflessione, il cui percorso di crescita diventa a mio parere una metafora della lotta tra desiderio e ragione, tra libertà e responsabilità. La parabola di Bathsheba si sviluppa così in una direzione profondamente umana, rivelando il suo lento cammino verso la saggezza e la padronanza di sé, in un’epoca che non lasciava molto spazio alla libera espressione delle ambizioni femminili.
Bathsheba Everdene rappresenta, in alcuni tratti, una figura conforme agli stereotipi vittoriani di femminilità: è talvolta impulsiva e guidata dalle emozioni, elementi che rispecchiano la visione dell’epoca sulla fragilità emotiva femminile. Tuttavia, Bathsheba sfida e sovverte questi stessi stereotipi mostrando una crescente indipendenza e capacità di adattamento. Non solo gestisce la fattoria con determinazione, ma sviluppa anche un’autonomia emotiva, imparando a governare il proprio cuore e a fronteggiare le sfide di un mondo spesso spietato e giudicante.
In "Via dalla pazza folla," Bathsheba emerge come un personaggio complesso e memorabile. Sebbene le sue scelte siano a volte avventate e distruttive, è proprio attraverso i suoi errori e le sue cadute che dimostra il desiderio e la capacità di migliorarsi. I suoi tratti positivi — coraggio, resilienza e passione per la vita — sovrastano ampiamente i difetti, rendendola una figura affascinante e unica nel panorama letterario. La sua evoluzione mi ha colpito profondamente: se inizialmente provavo una certa distanza emotiva nei suoi confronti, il suo percorso di maturazione ha finito per conquistarla alla mia simpatia e ammirazione. Oggi, Bathsheba Everdene occupa un posto di rilievo tra le eroine dei grandi classici, grazie alla complessità e alla modernità della sua lotta per trovare un equilibrio tra il proprio desiderio di indipendenza e il bisogno di appartenere a qualcuno, in un mondo che ancora si attende altro da lei.
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